Blog di laliadivi

Pensieri e Poesie

Pagine di dario

È l’alba, quarto giorno d’isolamento forzato. Il letto un campo di battaglia, il cuscino arrotolato, le lenzuola divelte, non trovo più il telecomando. Le immagini casuali della tele mi hanno fatto compagnia per tutta la notte, i dolori alle ossa sommati all’angoscia hanno creato una vera esplosione. Più tempo per pensare. Per scavare nei meandri della coscienza. Un tuffo in quel che era e in quel che è oggi la mia vita. Mi scoppia la testa, non so più chi sono o chi voglio essere. Tutto il dolore che mi ha attraversata ha creato una voragine, nonostante tutto è tanta la voglia di vivere. Di sorridere anche al giorno più nero. Andare avanti con una spinta sempre più forte.

Oggi, il sole splende. L’atrio accoglie una vivida luce che si allarga fino agli angoli più nascosti. Dietro la porta finestra non riesco a sentire il suo calore. Uno schermo che riflette qualcosa che non mi appartiene. Una metafora che racchiude la realtà. Nelle ultime ore si sono alternate tre situazioni climatiche differenti. Ieri mattina la nebbia. La sua velata sospensione. La pioggia, insistente, e la malinconia che ti assale. E poi il vento che tira forte da ieri sera. Quel cambiamento cui anelo, a quella pace che non riesco a trovare. Il turbamento produce qualcosa dentro che ti costringe alla consapevolezza. Il vento crea una strana coreografia, i rami ondeggiano al ritmo frenetico di una melodia che arriva da lontano. È strano osservare il mondo attraverso un vetro. Una lastra, tra me e l’esterno. È come se tutto questo dovesse farmi capire delle cose, una distanza necessaria da me stessa, comprendere le priorità. Non che io non sappia quali siano, prenderne consapevolezza è un’altra cosa. Ho posato il libro sul comodino, una nuova lettura da portare a termine. Il segnalibro per ricordare la pagina, una storia che ha catturato subito la mia attenzione. Mi preparo per la notte – il sesto giorno di reclusione. È lunga, gli occhi non riescono a riposare e le palpebre pesanti mi costringono a guardare le ore di buio e le sue ombre. I ricordi accarezzano dolcemente le pareti. Il cellulare in mano, per prendere nota di ogni singolo pensiero. Voglio fermare con le parole le emozioni. Vorrei addormentarmi, sognare per dimenticare almeno per un momento la mia sofferenza. La tachipirina, un sorso d’acqua e il bisogno di lasciarmi andare tra le braccia di Morfeo. Domani sarà un altro giorno. Nonostante l’aria fredda del mattino, il sole m’invita a uscire nel giardino. Avrò dormito all’incirca un paio d’ore, meglio di niente. Settimo giorno d’isolamento, ho bisogno di un caffè per prendere contezza di quel che mi gira intorno. Mi avvolgo in uno scialle, preparo la moka da una tazza. Osservo i fiori nel vaso poggiato sul mobile, sento il profumo della primavera. Avevo già visto i mandorli in fiore lungo la strada che mi porta al paese, in comunione con le vette innevate che fanno capolino sulla sinistra del cavalcavia. Ieri, nel pomeriggio una rondine ha azzardato un volo basso, planando sul terrazzo. Sistemo a fatica un po’ di cose. Metto ordine nella cartella che mi serve per lunedì. Sento sulle spalle il peso della solitudine, di un tipo di silenzio che urla. Ci rendiamo conto di perdere delle cose quando è troppo tardi. Il tempo non aspetta tempo, l’istante perso è perso per sempre. Nella fretta, siamo abituati a dare poca importanza all’ascolto, ci riempiamo la bocca d’inutili parole. A volte basta poco per riempire lo spazio vuoto: “Un abbraccio, un come stai”. Esserci senza necessariamente inserirvi fronzoli.

Negli anni ti rendi conto che il tempo è poco e si riduce all’utilizzo che ne facciamo. Sembra dilatato ma è solo un respiro.

Insistente. È spregiudicato questo continuo scroscio di pioggia che fa pendant con il rumore dei pensieri.

Il buio sovrasta ogni cosa, intimamente.

Senza fragore.

Laura Di Vincenzo

Parole spezzate

Ho mosso passi nell’ingenuità di molecole di giorni, a sfiorare immagini genuflesse nell’incavo del tempo.

Preghiere, intrappolate nei grani del rosario.

Lasciata andare, risucchiata in una spirale di vuoto, di parole spezzate, di cieli mancati.

Carezze di voce, tra le pareti nude di una stanza immaginaria.

Laliadivi

Ci sono giorni incolori, quelli che non riesci a collocare in nessuna scala cromatica. Si susseguono anonimi, inverosimili, in scenari catastrofici. Corridoi di buio dove impera il male. Ognuno a rincorrere cieli di nuvole sfilacciate, di mezze verità. Pioggia di piombo su case di latta. Cigolii di visioni di ultimi respiri. Notti infinite.

Rotola il giorno

Rotola il giorno sui pensieri in ricami d’orlo non definiti.

Nei lividi colori che sbiadiscono all’orizzonte di nuvole indecise.

Virando nel rosa che colora le colline sospese dell’attesa.

Questi ultimi sprazzi di luce lasciano spazio a quei frammenti di sogno che riempiono il vuoto.

Mentre tutto tace, si sente una musica diversa.

Accordi di voci all’unisono.

[Quasi le senti sulla pelle quelle carezze, brividi intensi che si propagano in ogni fibra, che ti riportano a profumi di pelle impregnati di vita]

A passi lenti, uno dopo l’altro, in compagnia della mia ombra percorro un tratto di strada. Per risvegliare gli arti dal torpore di quelle fredde giornate ormai lontane. Il cielo gravido di pioggia a tratti si apre in uno spiraglio dove la luce gorgoglia in filamenti di tessuto solare. Melodie di un tempo spettinato, di carezze sfuggite a un ricordo…

Neve

Fluttui leggera in questo cielo che tace, lungo il sentiero vestito di bianco. Ammanti le gemme dormienti che di ombra si adornano. È magia di carezza, nel turbinio di pensieri. Un déjà vu di emozioni vissute. Un altro tempo, un’altra vita. Energie di empatie in movimento nella mano del tuo guanto di velluto. Nell’affondo dell’orma che lasci. Il sentiero si apre nell’incertezza che si appropria del vero. Nel freddo che incendia il tramonto.

Vacillano arrugginite certezze, esangui si disperdono nell’etere.

Dicembre

Ero stanca, semplicemente non ce la facevo più, mi sentivo a metà. Avevo fatto a pugni con la notte. Lo avevo fatto fino all’ultima stella. Fino al primo bagliore di quell’alba che avrebbe introdotto il primo giorno di un nuovo mese. Benvenuto Dicembre, avrei potuto dire prima che la mia vita andasse a pezzi. Quella fragilità difficile da spiegare, quel desiderio di completezza che mancava. Parole, solo parole a definire un sentire che divora ogni superficialità. Un declivio, uno scendere verso quell’abisso che risucchia ogni volontà. Il sole mi aveva accecato completamente, quel filtro mi faceva vedere solo quello che volevo. Udivo suoni, melodie che coloravano positivamente, da qualche tempo, le mie giornate. Era solo follia, un’emozione grande poggiata sull’orlo di un dirupo. Mettere in discussione una vita, se pur fatta di rinuncia, in nome di un grande sentire. Una vera e propria vertigine d’amore capace di divorarmi anche l’anima. Avevo deciso di annotare tutto per creare qualcosa, un diario da pubblicare. E poi l’ospedale, rivivere una condizione che conosco bene. Una sospensione dal vivere, quella paura che ti toglie il respiro.